pezzi di limba scivolano via negli anni.
diventano parole nuove, parole mischiate, parole trasformate.
come un muro che vuoi mantenere intatto, bianco candido. ma una crepa che non ti aspetti lo disfa. e quel muro cambia, per sempre.
banìta si è riempita di screpolature. fino a scomparire.
era la culla per i pianti più innocenti. il sollievo per ossa spaccate di lavoro. l’accoglienza per corpi pronti ad amarsi, al buio.
era lana o crine da liberare, seguendo le stagioni. da lavare nell’orlo del lago. da asciugare finché il sole non moriva: troppo poco per far evaporare l’acqua pesante. e da riportare a casa, per ricomporla.
era un involucro di stoffa da riempire di nuovo con quella lana, o quel crine, inverno o estate che fosse. per poi ricucirlo in vista di nuove nanne. di nuovi riposi. di nuovi amori. con un ago speciale.
l’ago del materasso.
banìta era il materasso.
era il tempo che passava. al ritmo di un giaciglio sempre nuovo.